La storia.

L’origine del Convitto deve farsi risalire ad un istituto gesuitico, fondato da Ferdinando IV nel 1829, il nome di Collegio dei Nobili. Dopo essere entrato a Napoli, il 7 settembre 1860, come dittatore in nome di Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi abolì l’ordine dei Gesuiti e dichiarò nazionali i suoi beni; per effetto di ciò, l’anno seguente, il Collegio dei Nobili divenne il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II.Gli spazi architettonici attualmente occupati dal Convitto rappresentano il nucleo sostanziale di quello che fu il Convento di S. Sebastiano. Tale complesso religioso fu fondato in epoca costantiniana su di un’area extra moenia da monaci di culto basiliano e rimase tale fino all’istituzione della regola benedettina nel 1132. Nel 1424, a seguito di un lungo periodo di semiabbandono, la regina Giovanna II vi trasferì le monache domenicane di S. Pietro a Castello; da questo momento inizia una rinascita del monastero che culmina con l’arrivo di Maria Francesca Cersini, duchessa di Sessa, nel 1456. Espulse le monache nel 1807, varie ed articolate furono le vicende del complesso: nel 1820 ospitò la Camera del Parlamento, quindi divenne sede del Conservatorio di Musica e, successivamente, delle scuole pubbliche istituite dai Gesuiti.


L’elemento di maggiore antichità del complesso, che si sia conservato è il chiostro piccolo che presenta pianta quadrata ed ha due ordini: il primo, probabilmente il più antico esistente a Napoli (inizi sec. XIV) presenta colonne e capitelli zoomorfi e antropomorfi di spolio che sostengono archi ogivali; il secondo, seicentesco, è realizzato con pilastri quadrati in piperno, reggenti archi a tutto sesto. Nel XV e XVI secolo il Convento viene ampliato a nord, con la realizzazione del chiostro grande, in stile rinascimentale.All’inizio del XVII secolo le suore domenicane avviano la costruzione in forme barocche della nuova chiesa, che fu cappella del convitto fino al 1941, anno in cui crollò. Tra il 1757 e il 1763, in aderenza alle mura occidentali del convento, viene realizzato l’intervento vanvitelliano del Foro Carolino (l’attuale piazza Dante): esso consiste in una grande esedra conclusa al centro da un’edicola, scandita da ritti di ordine gigante in stile tuscanico che partono da un basamento continuo e sono conclusi in alto da una trabeazione coronata da 26 statue rappresentanti le virtù di Carlo III. L’ingresso centrale ed il retrostante pronao neoclassico vennero eseguiti successivamente, nel 1835, per garantire un accesso autonomo a quello che diventerà l’attuale Convitto Nazionale. 
Riguardo il chiostro una curiosità in più: il ''vaso'' al centro di quest'ultimo veniva usato dalle suore per far abortire le donne o più raramente altre suore che erano rimaste incinta ed erano sprofondate nel peccato.

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