Ecco a voi la pagina, forse la più spaventosa, ritrovata nel vecchio archivio storico del Convitto. L'autore si chiamava Danilo. Sì, proprio così, si chiamava perché purtroppo anche lui morì a causa di pazzia. La testimonianza è stata corretta grammaticalmente dalla prof.ssa L.C.a causa dei molti errori, anzi, ignoranze come piace definirle all'egregia insegnante.
Era il 5 di febbraio del 1991. Era una buia notte quando tutto cominciò, fuori tuonava forte ed io avevo paura. Non sono mai stato uno di quei ragazzi che vanno bene a scuola, sono sempre stato mediocre e le mie lacune più grandi erano il greco, latino ed inglese. Alle scuole medie avevo studiato un pò di tedesco ma niente di che... Ma stavo raccontando, i lampi illuminavano il cielo e i tuoi emettevano un assordate e fortissimo rumore. Pioveva anzi, quasi grandinava quando stavo per sentirmi male e avevo molto caldo, nonostante i pochi gradi che c'erano fuori. Sentivo la testa scoppiarmi, mi ritirai nella mia camera singola per poter stare in pace. Ad un tratto la finestra si spalancò, mi alzai per chiuderla quando sentì la porta dietro di me aprirsi quindi mi voltai ma non c'era nessuno. La finestra si richiuse da sola e quando finalmente mi ridistesi sul letto una strana ombra mi apparve davanti agli occhi, era una signora vestita di bianco e la faccia era color porcellana. Niente di più terrorizzante avevano mai visto i miei occhi. Tremavo mentre si avvicinava a me con le sue lunghe unghie nere. Inizialmente mi sfiorò la faccia poi inserì i suoi lunghi artigli nella mia pelle fino a sfregiarla e farla sanguinare. Vicino a lei presto si materializzò un uomo calvo con un anello ad un'orecchio. La pelle era raggrinzita dal tempo e la sua voce roca e graffiata. Niente di più brutto, ripeto, avevo mai visto in vita mia. La mattina dopo mi svegliai con un enorme graffio alla faccia, faceva male, bruciava. Quando il professore, un uomo non molto alto, calvo e con un abbigliamento piuttosto trasandato se ne accorse credette che mi fossi fatto male da solo e chiamò i miei genitori. Al loro arrivo spiegai l'accaduto ma decisero di mandarmi da uno psicologo e li rimasi per molti mesi, finché non ritornai al convitto e gli incubi ricominciarono...
Danilo.
Documenti storici e leggende del Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II di Napoli. Blog a cura di S.P.
Diario Vincenzo Vaccari.
Ecco qui una delle pagine più interessanti, come già accennato in precedenza, del diario del convittore defunto Vincenzo Vaccari:
5 dicembre 1941
Caro diario,
era buio quella sera, la nebbia era alta e fitta e non si vedeva ad un palmo dal naso. Strani rumori si udivano per i lunghi corridoi, risate e parole incomprensibili riecheggiavano nell'arco a volta che separava il buio cunicolo dalla scala dei dormitori del convitto. I vetri delle finestre stridevano e sbattevano in continuazione ed anche le porte delle classi non facevano altro che scricchiolare. Atmosfera tetra, la solitudine era nell'aria gelida. Nuvolette di vapore uscivano dalla bocca dei ragazzi e si capiva che l'inverno era alle porte. Il convitto non è di certo il miglior posto dove alloggiare quando le stagioni fredde avanzano. Anche se si è in compagnia, tutto può essere pericolo lì dentro. Mai ci sarei ritornato, anche se mi avessero pagato oro e mai avrei potuto immaginare quello che mi sarebbe successo poco dopo. Un'ombra nera avanzò rapida contro di me, mi scostai appena in tempo o forse l'avevo soltanto immaginato. Ma non ero pazzo, non potevo esserlo, avevo davvero visto quella donna vestita di bianco sfrecciarmi davanti così velocemente. I suoi capelli racchiusi in un'accurata acconciatura di quelle che usavano le donne molti anni fa. Un elegante abito pomposo e voluminoso e volto bianco come porcellana. Forse la paura durò un millesimo di secondo ma in quel breve tempo avevo notato più particolari di quanti ne avessi mai visti in vita mia e non l'avrei negato mai, neanche sotto tortura. Corsi via spaventato ma continuavo a sentirmi osservato. Probabilmente mi girai molte volte dietro per notare qualcuno che però non c'era e continuavo a correre sempre più velocemente finché non arrivai alle scale antiche, quelle grandi. Brividi ghiacciati percorrevano la mia schiena. Solo allora mi calmai e cominciai a scenderle ma il mio cuore batteva forte come non aveva mai fatto. Dopo momenti interminabili ero fuori dall'edificio e i cancelli si richiusero dietro di me sbattendo forte e procurando un orrendo rumore. Mai ritornerò in quel posto.
Vincenzo.
5 dicembre 1941
Caro diario,
era buio quella sera, la nebbia era alta e fitta e non si vedeva ad un palmo dal naso. Strani rumori si udivano per i lunghi corridoi, risate e parole incomprensibili riecheggiavano nell'arco a volta che separava il buio cunicolo dalla scala dei dormitori del convitto. I vetri delle finestre stridevano e sbattevano in continuazione ed anche le porte delle classi non facevano altro che scricchiolare. Atmosfera tetra, la solitudine era nell'aria gelida. Nuvolette di vapore uscivano dalla bocca dei ragazzi e si capiva che l'inverno era alle porte. Il convitto non è di certo il miglior posto dove alloggiare quando le stagioni fredde avanzano. Anche se si è in compagnia, tutto può essere pericolo lì dentro. Mai ci sarei ritornato, anche se mi avessero pagato oro e mai avrei potuto immaginare quello che mi sarebbe successo poco dopo. Un'ombra nera avanzò rapida contro di me, mi scostai appena in tempo o forse l'avevo soltanto immaginato. Ma non ero pazzo, non potevo esserlo, avevo davvero visto quella donna vestita di bianco sfrecciarmi davanti così velocemente. I suoi capelli racchiusi in un'accurata acconciatura di quelle che usavano le donne molti anni fa. Un elegante abito pomposo e voluminoso e volto bianco come porcellana. Forse la paura durò un millesimo di secondo ma in quel breve tempo avevo notato più particolari di quanti ne avessi mai visti in vita mia e non l'avrei negato mai, neanche sotto tortura. Corsi via spaventato ma continuavo a sentirmi osservato. Probabilmente mi girai molte volte dietro per notare qualcuno che però non c'era e continuavo a correre sempre più velocemente finché non arrivai alle scale antiche, quelle grandi. Brividi ghiacciati percorrevano la mia schiena. Solo allora mi calmai e cominciai a scenderle ma il mio cuore batteva forte come non aveva mai fatto. Dopo momenti interminabili ero fuori dall'edificio e i cancelli si richiusero dietro di me sbattendo forte e procurando un orrendo rumore. Mai ritornerò in quel posto.
Vincenzo.
Diario convittori
Tra poco una delle pagine più interessanti del diario di vita del convittore Vincenzo Vaccari, morto il 5 maggio 1941, causa crollo della cupola si S. Sebastiano.
A presto...
S.P.
A presto...
S.P.
La storia.
L’origine del Convitto deve farsi risalire ad un istituto gesuitico, fondato da Ferdinando IV nel 1829, il nome di Collegio dei Nobili. Dopo essere entrato a Napoli, il 7 settembre 1860, come dittatore in nome di Vittorio Emanuele II, Giuseppe Garibaldi abolì l’ordine dei Gesuiti e dichiarò nazionali i suoi beni; per effetto di ciò, l’anno seguente, il Collegio dei Nobili divenne il Convitto Nazionale Vittorio Emanuele II.Gli spazi architettonici attualmente occupati dal Convitto rappresentano il nucleo sostanziale di quello che fu il Convento di S. Sebastiano. Tale complesso religioso fu fondato in epoca costantiniana su di un’area extra moenia da monaci di culto basiliano e rimase tale fino all’istituzione della regola benedettina nel 1132. Nel 1424, a seguito di un lungo periodo di semiabbandono, la regina Giovanna II vi trasferì le monache domenicane di S. Pietro a Castello; da questo momento inizia una rinascita del monastero che culmina con l’arrivo di Maria Francesca Cersini, duchessa di Sessa, nel 1456. Espulse le monache nel 1807, varie ed articolate furono le vicende del complesso: nel 1820 ospitò la Camera del Parlamento, quindi divenne sede del Conservatorio di Musica e, successivamente, delle scuole pubbliche istituite dai Gesuiti.
L’elemento di maggiore antichità del complesso, che si sia conservato è il chiostro piccolo che presenta pianta quadrata ed ha due ordini: il primo, probabilmente il più antico esistente a Napoli (inizi sec. XIV) presenta colonne e capitelli zoomorfi e antropomorfi di spolio che sostengono archi ogivali; il secondo, seicentesco, è realizzato con pilastri quadrati in piperno, reggenti archi a tutto sesto. Nel XV e XVI secolo il Convento viene ampliato a nord, con la realizzazione del chiostro grande, in stile rinascimentale.All’inizio del XVII secolo le suore domenicane avviano la costruzione in forme barocche della nuova chiesa, che fu cappella del convitto fino al 1941, anno in cui crollò. Tra il 1757 e il 1763, in aderenza alle mura occidentali del convento, viene realizzato l’intervento vanvitelliano del Foro Carolino (l’attuale piazza Dante): esso consiste in una grande esedra conclusa al centro da un’edicola, scandita da ritti di ordine gigante in stile tuscanico che partono da un basamento continuo e sono conclusi in alto da una trabeazione coronata da 26 statue rappresentanti le virtù di Carlo III. L’ingresso centrale ed il retrostante pronao neoclassico vennero eseguiti successivamente, nel 1835, per garantire un accesso autonomo a quello che diventerà l’attuale Convitto Nazionale.
Riguardo il chiostro una curiosità in più: il ''vaso'' al centro di quest'ultimo veniva usato dalle suore per far abortire le donne o più raramente altre suore che erano rimaste incinta ed erano sprofondate nel peccato.
L’elemento di maggiore antichità del complesso, che si sia conservato è il chiostro piccolo che presenta pianta quadrata ed ha due ordini: il primo, probabilmente il più antico esistente a Napoli (inizi sec. XIV) presenta colonne e capitelli zoomorfi e antropomorfi di spolio che sostengono archi ogivali; il secondo, seicentesco, è realizzato con pilastri quadrati in piperno, reggenti archi a tutto sesto. Nel XV e XVI secolo il Convento viene ampliato a nord, con la realizzazione del chiostro grande, in stile rinascimentale.All’inizio del XVII secolo le suore domenicane avviano la costruzione in forme barocche della nuova chiesa, che fu cappella del convitto fino al 1941, anno in cui crollò. Tra il 1757 e il 1763, in aderenza alle mura occidentali del convento, viene realizzato l’intervento vanvitelliano del Foro Carolino (l’attuale piazza Dante): esso consiste in una grande esedra conclusa al centro da un’edicola, scandita da ritti di ordine gigante in stile tuscanico che partono da un basamento continuo e sono conclusi in alto da una trabeazione coronata da 26 statue rappresentanti le virtù di Carlo III. L’ingresso centrale ed il retrostante pronao neoclassico vennero eseguiti successivamente, nel 1835, per garantire un accesso autonomo a quello che diventerà l’attuale Convitto Nazionale.
Riguardo il chiostro una curiosità in più: il ''vaso'' al centro di quest'ultimo veniva usato dalle suore per far abortire le donne o più raramente altre suore che erano rimaste incinta ed erano sprofondate nel peccato.
Presentazione blog.
Buonasera cari lettori,
in questo periodo stiamo cominciando a rovistare tra gli storici articoli del Convitto Nazionale di Napoli per pubblicare l'antico materiale online. Abbiamo ritrovato antichi diari dei convittori e le loro testimonianze, a volte atroci, altre volte meno. Sono stati, inoltre, rinvenuti antichi documenti che raccontano in modo approfondito la storia dell'edificio.
Spero vivamente che il materiale sia di vostro gradimento.
S.P.
in questo periodo stiamo cominciando a rovistare tra gli storici articoli del Convitto Nazionale di Napoli per pubblicare l'antico materiale online. Abbiamo ritrovato antichi diari dei convittori e le loro testimonianze, a volte atroci, altre volte meno. Sono stati, inoltre, rinvenuti antichi documenti che raccontano in modo approfondito la storia dell'edificio.
Spero vivamente che il materiale sia di vostro gradimento.
S.P.
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